sabato 27 febbraio 2010

8 marzo 2010 sulla strada: mimose contro la tratta


Dalla parte delle ultime, le più sfruttate, le schiave del sesso, insultate, offese, derise, discriminate, schifate, le puttane nere, quelle che per 20 schifosi euro danno sesso a un esercito di psicopatici bianchi.


L'otto marzo diamo un segnale di sensibilità e di presa di coscienza, andiamo a trovarle sulla strada portiamogli un sorriso


LUNEDI' OTTO MARZO CI TROVIAMO IN PIAZZA DEL MUNICIPIO A SIZIANO (pv) QUINDI CI SPOSTIAMO SUL RONDO' ALL'INCROCIO VIGENTINA CON LA BINASCA, UN GRUPPO PORTERA' LE MIMOSE GLI ALTRI IMPROVVISERANNO UN PICCHETTO CON CANDELE E FIACCOLE SUL RONDO'

sabato 20 febbraio 2010

Lettera di Diego dallo Zambia


… tutto in un sabato, tutto in una domenica

Aids! “I’m positive”, sono positivo, sono positiva. Non è raro sentire questa frase entrando nelle case della gente della township di Bauleni. Le famiglie sono falciate da questo male ancora incurabile, ma la causa della morte spesso viene coperta con altre malattie oppure con cause misteriose e magiche. Il virus colpisce tutti, senza discriminazioni, che tu sia europeo o africano non importa, ma se in Europa si riesce a vivere dignitosamente, qui al contrario, si vive male e si muore e peggio! In Bauleni il virus ha un volto ben definito, una fisionomia marcata, delle caratteristiche fisiche che lasciano poco spazio a diagnosi dubbiose. Misonzi, per esempio, è una ragazza di 25 anni circa, con un sorriso disarmante. Un uomo è passato nella sua vita e le ha lasciato un bimbo con cui ha condiviso il virus. Questa donna però è ancora sola perché il bambino è stato portato via dall’Aids. Misonzi è sola col suo male che la mangia poco a poco, giorno dopo giorno e con il suo dolore; il ricordo di un bimbo che ad ogni sorgere del sole tenta di annegare nell’alcol senza mai riuscirci.
C’era anche Peter, un uomo sui 40 anni, talmente magro che la pelle ormai grigia sembrava essere dipinta sulle ossa. Abbiamo potuto condividere con lui poco tempo, appena due visite, alla terza abbiamo trovato solo il suo ricordo e le lacrime della sua famiglia. Oppure Brenda, una donna che vive sola con tre figli che non riesce a mantenere, il marito l’ha lasciata qualche anno fa. Il suo sguardo è triste e tenero allo stesso tempo e i segni della malattia si fanno evidenti col passare del tempo.
A volte è talmente stanca e debole che per intere settimane sta sdraiata sul suo materasso appoggiato sul pavimento. Brenda sa che deve morire, mi immagino solo il pensiero che la sbrana più della sua malattia: cosa faranno le mie tre creature in un futuro non troppo lontano?
Anche il sangue di Mercy e del suo bambino di otto anni porta quella maledetta parola tra i suoi globuli: “positivo!” Vivono in una casa talmente piccola che appena si entra ci si trova obbligatoriamente seduti sul divano senza più potersi muovere. Mercy ha buon gusto, cura i particolari della casa, ci mette amore e quando siamo arrivati, quel sabato, stava lavando il pavimento di cemento levigato, inginocchiata come in preghiera. Per quanto tempo ancora potranno camminare per le strade di Bauleni? Che scadenza avrà la loro speranza?
“Positivo!” e’ una parola che marchia a fuoco il sangue come una sentenza senza possibilità di appello. Il sangue, simbolo della vita, delle unioni indissolubili e delle alleanze, della promessa e della discendenza, diventa veleno, simbolo di paura ed emarginazione e siero che porta la morte. Ed è lo stesso sangue che domenica ho visto uscire dalla bocca e dalla testa di un uomo che altri tre uomini stavano linciando a bastonate calci e pugni. Il sangue scendeva dalla faccia alla terra e si mescolava con l’acqua di una pozzanghera, formando disegni cupi che sapevano di mattanza.
La gente attorno stava a guardare, come si guarda ammazzare un toro in una corrida. La coscienza grida e porta dove il coraggio non porta, e il grido si trasforma in azione. Quando lei pronuncia la sua parola non è possibile ignorarne la voce, e così sono stato spinto ad intervenire. L’avrebbero ammazzato? Non lo so, non so nemmeno il motivo del linciaggio e sinceramente non avrebbe fatto nessuna differenza. L’uomo è vivo, ma è viva anche la violenza che si accende per un nulla e accresce colpo dopo colpo, resa ancora più fredda e tagliente dal sadismo della gente che guarda con un certo godimento non proprio inconscio. La violenza è viva e pulsa sulle tempie e si alimenta di se stessa, del sangue che fa scorrere, che si rende visibile e imbratta l’uomo, la terra, l’acqua ma anche la coscienza. Cose d’Africa? No non e’ questo che intendo, perché queste cose capitano anche a Milano, nello stesso modo, con la stessa violenza e freddezza e nella stessa indifferenza. Ci si può indignare, ed è giusto che sia così, ma non si può condannare un intero continente per un gesto che rispecchia anche la propria cultura, nel mio caso quella italiana. Ora penso agli incontri vissuti lo scorso sabato e domenica, e nel silenzio, il giudizio affrettato lascia spazio alla preghiera, e questa porta alla riflessione, critica si, ma il più possibile ponderata. L’Africa, o meglio, lo Zambia non è questo, o non solo questo, come l’Italia non è solo mafia. Qui c’è del bello che nasce ogni giorno, nonostante tutto. Dio non si è dimenticato di questa terra, anzi, sprona l’uomo a ricordarsene.
Penso al sangue, elemento che ha unito un sabato e una domenica di febbraio bagnato dalle piogge, penso che da elemento di morte e di violenza siamo chiamati a riportarlo all’originale significato di alleanza e vita. Ho deciso di narrare questi eventi, non per mettere in cattiva luce questo popolo, anzi … lo faccio perché racconto storie, incontri che la vita mi da in dono, senza nascondere il brutto e il bello, la paura e la gioia, cercando di condividere a parole ciò che mi va capitando lungo il cammino. Scrivo perché come dice un proverbio indiano; “tutto ciò che non va donato va perduto”.

Diego (Gigo)

giovedì 18 febbraio 2010

Quando il razzismo uccide anima e corpo



In morte di Denis


di *Giovanni Giovannetti


Denis Istraila, 9 anni, se l'è portato via un tumore al fegato. Lo ricordiamo bimbetto nel 2007 alla Snia di Pavia e, dopo lo sgombero, di nuovo a Slatina, quartiere Progresu, nella sua baracchina di legno, fango e senz'acqua, con il padre Tanase Fanel, la mamma Narcisa e i numerosi fratelli.


Il padre Tanase aveva guidato lo sciopero della fame in piazzetta Maggi nei giorni successivi allo sgombero dalla storica fabbrica pavese; per gravi motivi di salute aveva poi accettato 250 euro offerti dalla Caritas per conto del Gruppo Zunino (uno dei proprietari della ex Snia) ed era tornato in Romania con la famiglia.


Pochi mesi dopo il nostro incontro a Slatina, nel marzo 2008 Tanase è tornato a Pavia: manovale in nero per 3 euro e 50 l'ora e una vita di merda, lontana dagli affetti famigliari. Troppa nostalgia, troppa malinconia... così nell'estate scorsa viene nuovamente raggiunto in Italia dalla famiglia e, non avendo altro, hanno bivaccato abusivamente tra i capannoni dell'ex Necchi: Denis ha frequentato le elementari all'“Ada Negri”, fino a quando......fino a quando il 25 settembre scorso il sindaco di Pavia ha allontanato “al buio” 17 Rom rumeni dall’area Necchi. “Al buio” significa senza prevedere alcuna sistemazione d’emergenza per la notte: 11 adulti e 6 bambini hanno così dovuto bivaccare sotto un ponte.


Motivo: «s’impone il ripristino della legalità», come ha più volte ripetuto. Nello stesso giorno, lo stesso sindaco era accorso scodinzolante ad applaudire le lacrime dell’assessore provinciale Rosanna Gariboldi, moglie del suo referente politico on. Giancarlo Abelli, da poco in carcere dopo aver riciclato denaro sporco per anni e anni.


Pattume e rumeni, scarti urbani e scarti umani. Nella Città dei Saperi nonché capitale del gioco d’azzardo, degli sportelli bancari e delle mafie sommerse quella notte le istituzioni hanno lasciato che 6 bambini dormissero all’aperto in riva al Ticino. Quattro di loro erano i figli di Narcisa e Tanase, che fino al giorno prima andavano a scuola.


Tanase poteva finalmente esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Tanase – che pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto – dai locatori pavesi si era sentito rispondere «Albanesi e marocchini sì, rumeni no»: somiglia tanto a quel sinistro «vietato l’ingresso ai cani e agli italiani» o all'analogo «non si affitta ai meridionali» di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni eravamo noi. Così Narcisa, Tanase e i loro bimbi hanno dovuto fare precipitoso ritorno in Romania, inconsapevoli della malattia di Denis (sembra che a Pavia l'avessero visitato, senza che i medici se n'avvedessero).


Stamane è morto all'ospedale di Bucarest. Una dolce carezza, piccolo angelomio.Quali miopie, quali ipocrisie si celano dietro a tutto questo? Mi torna alla mente l’emergenza umanitaria dei Rom alla Snia, tre anni fa: la chiesa era lì a due passi, e il parroco ha negato loro l’acqua; chiedevano un tetto, e nessuno che abbia concesso una vecchia canonica disabitata, nonostante l’appello del Vescovo, né altri un qualche rudere dismesso.


Come a Gesù, duemila anni prima: «avevo sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete dato ospitalità» (Matteo, 25). Certi cattolici della domenica sono proprio fortunati. Sono fortunati, perché Dio non esiste. Se Dio esistesse li avrebbe già fulminati, inceneriti, schiacciati, squartati, trapassati con spade di fuoco. Se Dio esistesse li avrebbe aspettati alle porte dell’aldilà per rispedirli a pedate nell’aldiquà a patire le pene patite da un mendicante o da un immigrato, a sopportare l’umiliazione di un Rom o di un rifugiato, per la vita eterna.


Purtroppo per loro è esistito Gesù: «Allora quelli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, straniero o nudo, malato o in prigione, e non ti abbiamo aiutato?” Ed egli risponderà: “Tutto quello che non avete fatto per aiutare anche l’ultimo di questi miei fratelli, non l’avete fatto neanche per me!”».
(nella foto la famiglia di Denis)
*per gentile concessione dell'autore condividiamo e diffondiamo

martedì 16 febbraio 2010

PAVIA CONTRO IL RAZZISMO


Pavia contro il razzismo


Appuntamenti (eventi programmati ad oggi 16 febbraio 2010)


lunedì 22 febbraio – Sala Scapolla- C.so Garibaldi,20 – ore 21.00
Incontro con Orhan Dilber, portavoce dei Sans papier di Parigi – a cura dell’Ass. Ci siamo anche noi

domenica 28 febbraio
piazza della Vittoria, a partire dalle ore 16.00:
“ Le olive e i mandarini non cadono dal cielo” : gesti e suoni, parole e spremute antirazziste

- per i più piccoli: alla bottega CAFE in corso Garibaldi 22, dalle ore 16.00 : miti, leggende e fiabe latinoamericane lette e illustrate con merenda finale


Lunedì 1 marzo – presidio in piazza della Vittoria, ore 18.00 ( in concomitanza con la manifestazione nazionale )
“ 24 ore senza di noi “: e se gli immigrati che vivono e lavorano a Pavia incrociassero le braccia?

1-21 marzo: “ Primavera antirazzista”: campagna nazionale per i diritti e contro ogni forma di razzismo

Lunedì 8 marzo: Siziano “ Una mimosa contro la tratta “
Progetto Ragazza di Benin city - Cattivi Ragazzi


Martedì 16 marzo a Spaziomusica – via Faruffini, 5 - ore 19: 30 aperitivo ore 21: Serata clandestina (teatro, musiche, letture e video sui migranti)

Sabato 20 marzo: Insieme al Mulino di Suardi - v. Marconi, 48 – Suardi (PV) “ La primavera dei popoli del Mediterraneo: serata cultural-gastronomica” I piatti che celebrano l’arrivo della primavera nel nord del Marocco, nella valle del Nilo e nella Sicilia del Sud.
Prenotazioni: 0384 – 89363 / 327 6199676

solidarietà alle donne albanesi


Lettera aperta al premier Berlusconi, da parte di esponenti della comunità albanese in Italia.
di Elvira Dones - Elvira è una cara amica, impegnatissima sul fronte della lotta alla tratta, contro il razzismo e per l'integrazione tra i popoli



Siamo profondamente indignati e offesi dalle parole usate dal Primo Ministro italiano, durante la conferenza stampa congiunta con il suo omologo albanese Berisha tenutasi a Roma, Venerdì 12 febbraio 2010, a seguito di un summit bilaterale tra i governi dei due paesi. Dopo le parole di Berisha che afferma:“”Non voglio che gli albanesi muoiano, non voglio che i criminali arrivino in Italia”, Berlusconi ha ironizzato ”per chi porta le belle ragazze possiamo fare un’eccezione” Nonostante il Premier italiano sia noto per le sue battute infelici, riteniamo che quanto da egli dichiarato sia un’affermazione offensiva nei confronti delle donne albanesi che vivono e lavorano onestamente in Italiae Albania, perché si prende beffa di una della piaghe sociali più gravi della transizione democratica albanese: la tratta di esseri umani.
Il premier italiano dovrebbe sapere che c’è già chi porta in Italia “le belle ragazze albanesi”, e le mette a lavorare come carne fresca sui marciapiedi italiani, oppure in finti centri benessere dove benestanti italiani si servonodi loro per alleggerirsi dai loro carichi pesanti di lavoro e responsabilità. Sono i trafficanti di esseri umani e la criminalità organizzata che gestisce lo sfruttamento della prostituzione. Elevare un argomento cosi delicato e doloroso a inopportune battute sessiste e maschiliste, offende il lavoro e l’impegno di quanti si battono affinché la donna non sia trattata come un oggetto, ma goda di pari opportunità.
Siamo profondamente dispiaciuti e addolorati che il Premier del paese in cui viviamo e aspiriamo a diventarne pieni cittadini, dimostri un atteggiamento altamente offensivo nei confronti del nostro paese di origine e dia un immagine cosi arretrata dell’Italia. Chiediamo una rettifica e scuse formali a tutte le donne albanesi che vivono e lavorano in Italia.

giovedì 4 febbraio 2010

messaggio di Diego (Gigo)



Il bello e la forza di vivere


Faceva caldo quel sabato, e il sole picchiava sui tetti di lamiera del compound, tanto da farli scricchiolare come scricchiola il metallo della marmitta di una macchina appena parcheggiata. Erano le quattro del pomeriggio, e la, sotto la veranda di una panetteria chiusa per lavori, c’era Elvis sulla sua sedia a rotelle verde, dove lo smalto della vernice aveva generosamente lasciato ampi spazi alla ruggine. Con lui c’era il suo fidato amico Martin, un ragazzone di struttura robusta, segno di un uomo abituato alla fatica. Il suo sorriso, semplice quanto spietato, rivela immediatamente che dietro il corpo da uomo c’è un cuore e un pensiero da bambino. Non so sinceramente quale sia il suo problema, ma sta di fatto che Martin ha delle difficoltà a livello mentale. Io non sapevo vivessero assieme, e nemmeno potevo immaginarlo, sino al momento in cui Elvis mi invitò a visitare la loro casa. Martin spingeva la carrozzina, sudato e con il suo immancabile sorriso, mentre Elvis tentava di spiegarmi, tra una buca e l’atra, dove fosse la sua casa, forse anche per rassicurarmi sul fatto che non avrei dovuto camminare molto sotto quel sole. Una volta arrivati davanti alla porta di legno, Martin cominciò a trafficare frettolosamente per togliere il lucchetto che unisce la porta al muro tramite un grosso anello di ferro. Elvis entrò per primo, seguito da Martin che lo spingeva, e poi tentai anch’io di entrare, ma non c’era più spazio e solo dopo qualche manovra riuscimmo ad incastrarci in modo che tutti avessero un posto per sedersi. Dentro c’era un letto solo che occupava tutta la lunghezza della casa. L’unica parte libera del letto in cui salire e scendere era sfondata e cadeva leggermente verso il basso. In un angolo c’era un’altra sedia a rotelle, quella di scorta, sommersa da oggetti di uso quotidiano, come secchi, pentole di alluminio, catini di plastica blu, piatti di metallo smaltato e altro ancora. Io ero seduto su un piccolo sgabello di legno e pelle di capra, con la porta d’ingresso che mi poggiava sulla spalla destra, e in questo modo riuscivo anche a tenerla aperta, visto che faceva molto caldo dentro la casa. Martin invece era seduto sul letto e Elvis sulla sua sedia a rotelle contro il muro, proprio sotto un calendario del 2007 con una pubblicità di un’associazione locale. Elvis sembrava felicissimo di mostrarmi la sua casa, il suo “kingdom” o regno, e mentre parlava mi guardava soddisfatto, con quegli occhi profondi e allo stesso tempo stanchi. Nei momenti di silenzio mi chiedevo come potessero due persone con i loro limiti vivere assieme, in quelle condizioni, in un posto come Bauleni! Elvis parlava e nel frattempo pensavo al fatto che la costruzione in cui noi teniamo gli attrezzi per lavorare la terra, è molto più grossa e areata della loro casa. Nel buio di quel tugurio, brillava la loro capacità di essere comunità, di mettersi assieme per potercela fare nonostante le loro difficoltà e i loro impedimenti. Paradossalmente quell’addizione di limiti e fragilità da un risultato sorprendente, ovvero; la forza di vivere. Mentre camminavo per le viette della township, tornando a casa, riflettevo sul senso e sull’importanza della comunità e del fare comunità. Non è facile stare assieme, necessita di compromessi, mediazioni e comprensione. Non è facile convivere, mettere insieme le differenze e far tacere l’egoismo per lasciare spazio all’altro nella sua totalità, con i suoi limiti ma anche con i suoi pregi. Tuttavia è uno sforzo necessario perché soli non bastiamo, non ce la facciamo. Chi promuove l’individualismo e l’autosufficienza estrema, vende illusioni, e a chi segue questo modello purtroppo molto comune in Europa, la vita, prima o dopo presenta il conto e il prezzo da pagare è la solitudine con le sue conseguenze. Elvis e Martin fanno riflettere. Il loro stile di vita, il loro modo di andare avanti e di aiutarsi insegnano a porre maggiormente l’attenzione su quel principio tanto caro al Ragazzo di Nazareth, che è quello della solidarietà, dell’aiuto reciproco, del creare toni di civiltà e di comunità, perché è in questo modo che ci si salva dall’inferno in terra e si risorge come donne e uomini nuovi già in questa vita, perché è dalla comunità che nasce il bello e la forza di vivere. Grazie Elvis, grazie Martin.

Diego (Gigo)


(Diego è un caro amico, con lui abbiamo lavorato sulle strade di Milano, è un frate Comboniano, ora è in Zambia dove stà facendo il noviziato per diventare missionario, noi laici, lui credente, ma un grande affetto ci unisce, certe volte la sua fede fa riflettere e aiuta )

Eppur si muove ....







Nyman dedica un brano a Torino ispirato da Isoke Aikpitanyi

Michael Nyman, l' autore delle musiche di Lezioni di piano, ha firmato con il cantante David McAlmont, nel nuovo disco The Glare, il brano City of Turin, racconto di disperazione ambientato in una nebbiosa e alquanto desolata Torino. È la storia vera di Isoke Aikpitanyi, ragazza nigeriana giunta in città con l' illusione di un lavoro da commessa, poi costretta a prostituirsi all' angolo della strada. SUGLI archi minimalisti e insieme trionfali di Nyman, e con la grazia celestiale della voce «narrante» di McAlmont, già nei Thieves, il viaggio compiuto dalla giovane di Benin City verso la speranza chiamata Torino viene ripercorso dai due musicisti, sia nei testi che nelle musiche, con «aria di fatalistica ineluttabilità», come ha scritto il quotidiano britannico Independent all' uscita dell' album su etichetta Mn Records creata dallo stesso Nyman. La fonte ispiratrice di questo brano, in realtà, pare sia stata per McAlmond la visione, qualche anno fa, di un servizio dell' emittente araba Al Jazeera, nel quale veniva intervistata proprio la protagonista di questa drammatica vicenda, anche se a Torino Nyman c' è venuto quando gli fu commissionato un brano per la Reggia della Venaria. Isoke Aikpitanyi aveva appena 21 anni, quando arrivò a Torino nel 2000, e proprio quel momento che segna l' inizio della sua schiavitù è descritto con parole amarissime nella canzone: «Mi hanno portato via il passaporto e mi hanno lasciato una cicatrice - recita il testo - e la mia amica è morta perché non riusciva a mentire. La verità è un peccato sulla strada, nella città di Torino». Tutto vero, tutto purtroppo è accaduto. «Quando sono arrivata a Porta Nuova - ha ricordato la Aikpitanyi all' inviato di Al Jazeera- mi hanno detto che gli stranieri senza permesso potevano fare solo un tipo di lavoro, e mi hanno imposto di ripagare ventimila dollari di debia città di Torino di David McAlmont& Michael Nyman, dall' album "The Glare"MN Records Non posso andarea casa odio sentirlo il vento passa attraverso i vestiti leggeri che mi obbliganoa mettere nessuno ascoltae vuole ascoltare la verit à su come sono andate le cose per una ragazza sulla strada nella città di Torino quando fa buio, nel parco del Valentino mi hanno portato via il passaporto e mi hanno lasciato una cicatrice e la mia amicaè morta perchè non riuscivaa mentire La veritàè un peccato sulla strada nella città di Torino Mi obbligano ad affittare l' angolo dove batto mi fanno pagare per questi vestitie io mi sento abbandonata in questa terra nebbiosa in questa citt à chiamata Torino Faccio cenno alle macchine per entrare dentro solo per stare un po' al caldo Lascio che lui mi tratti come una moglie Se pensoa come sono sopravvissuta Posso stare anche in una macchina, in una strada,/ /nella città di Torino Giorni interi nel deserto senza acquae stipati dentro un camione tr ascinati lungo la strada All' inizio eravamo molti di pi ù rispettoa quando siamo arrivati dovei fiumi si incontrano Nella città di Torino to. Ho resistito per quattro settimane, ma poi per me è iniziata quella che noi chiamiamo "the italian life". Mi hanno portata vicino al Valentino, e sono finita in ospedale in coma per tre giorni, ma le prostitute vengono trattate senza rispetto anche lì, le infermiere sono spesso razziste soprattutto con noi di colore». L' eco tagliente della canzone di Nyman e McAlmont, che la stampa inglese, dal Guardian all' Observer fino al mensile Uncut, hanno ampiamente elogiato, riflette proprio la solitudine di una giovane che si ritrova abbandonata in una città dove prevale un atteggiamento di indifferenza: «Nessuno ascolta e vuole ascoltare la verità - canta McAlmont - su come sono andate le cose per una ragazza sulla strada nella città di Torino». Nel brano non si racconta cos' è stato, poi, della giovane nigeriana. Oggi abita ad Aosta, lavora in una casa di accoglienza per aiutare le altre ragazze che finiscono nel tunnel della schiavitù sessuale. Quelle che ancora vengono obbligate a prostituirsi sulla strada dopo avere affrontato «giorni interi nel deserto senza acqua, stipati dentro un camion», sognando solo un lavoro. GUIDO ANDRUETTO (Repubblica - 24 gennaio 2010, pagina 1, sezione: TORINO).



Lagos (Nigeria) - Un Premio Internazionale a Isoke Aikpitanyi per il suo impegno contro la tratta

Un importante riconoscimento internazionale è stato attribuito alla giovane nigeriana Isoke Aikpitanyi che vive ad Aosta e che si è fatta conoscere per un libro, “Le ragazze di Benin City” e per il suo costante impegno contro la tratta degli esseri umani: la rivista internazionale di lingua inglese “Magazine”, un settimanale edito dal quotidiano nigeriano “The Guardian”, ha infatti deciso di premiarla per il suo impegno sociale innovativo e per il contributo alla costruzione di un futuro migliore per le giovani generazioni africane.
La premiazione avverrà il 7 febbraio a Lagos, nel corso di un galà cui parteciperanno autorità del mondo della cultura e dello spettacolo in Nigeria.
Il premio le è attribuito in particolare considerazione del ruolo che ha svolto in questi ultimi anni, trovando ascolto e attenzione anche in occasione del G 8 contro la violenza sulle donne che si svolse a fine 2009 a Roma, promosso dal Ministro Carfagna.
E’ la prima volta che in Nigeria una attenzione così particolare è rivolta a un personaggio attivo contro la tratta, ma questo premio ha un significato ancor più profondo poichè non è attribuito ad una donna nota nello spettacolo, nella cultura o nel giornalismo, ma nella realtà sociale e civile di un paese che deve affrontare con rinnovato slancio le sfide della democrazia, dei pari diritti, della scolarizzazione e del contrasto dei traffici mafiosi che, purtroppo, devastano le speranze di tanti giovani.
E’ la seconda volta che Isoke Aikpitanyi riceve un Premio internazionale; due anni le fu attribuita la targa Martin Luther King, mentre in Italia il suo libro “Le ragazze di Benin City” ha ottenuto numerosi premi e le ha aperto importanti spazi mediatici.
Il Premio arriva in un momento speciale: Isoke Aikpitanyi ha infatti iniziato una ricerca nazionale sulle ragazze nigeriane vittime della tratta in Italia, commissionatole dalla presidenza del Consiglio dei Ministri e sta lavorando alla attuazione di una missione di informazione e prevenzione da svolgere nei paesi africani maggiormente interessati dal dramma del traffico degli esseri umani.
Isoke Aikpitanyi è testimonial della Campagna per l’attribuzione del Premio Nobel per la Pace alla “Donna africana”, segno che il rinnovamento in Africa poggia in gran parte sul ruolo delle donne.