venerdì 10 dicembre 2010

Buon Natale dall'Africa, buon Natale da Gigo, buon natale dai CattiRagazzi


Potrebbe esserlo di più

È Natale sì, quasi ci siamo, ma oggi, mentre ero in carcere, non l’ho percepito. Non mi sono ricordato che mi trovavo li per festeggiarlo con quegli uomini rinchiusi.
È Natale sì, ma quanta disumanizzazione! Io la dentro morirei, proprio fisicamente, non riuscirei a campare molto.
Mi guardavo attorno mentre il vescovo di Lusaka celebrava la messa e vedevo gente attorno a me ammassata come bestie. La puzza era davvero pungente tanto che il mio compagno etiope mi disse onestamente che non riusciva a resistere. Avevo paura si sentisse male. L’odore era talmente acre e denso che sembrava di mangiarlo. Non era odore di uomo.
È Natale sì, ma l’odore non era di vaniglia e mandarino, non c’era profumo di festa, no, era odore di carogna, odore di cose morte che stagna nell’aria.
Sono 1500 uomini detenuti di nazionalità diverse: somali, etiopi, eritrei, nigeriani, zambiani, angolani, indiani e c’erano anche due bianchi, forse europei. Nelle Central Prison of Lusaka si dorme in 70, 80 per stanza, si dorme per terra, incastrati l’uno con l’altro. Una cella senza finestre in cui è notte anche di giorno e quando fuori il sole cala, le celle si chiudono e comincia l’inferno.
È Natale sì, ma mi chiedo cosa ci spinge a vivere in questo modo, a schiacciare l’uomo nella miseria che noi stessi creiamo. Cosa ci spinge a guardarlo strisciare come fosse senza braccia e senza gambe, ma soprattutto senza dignità, perché ho conosciuto uomini e donne senza gambe o senza braccia insegnare la dignità; creature pienamente umane.
Il brutto esiste in questo mondo, ma perché creiamo un sistema che peggiori la situazione? Il male esiste, ma perché lo aiutiamo a diventare sempre più forte invece di depotenziarlo? Ad un certo punto si cade nel nonsenso ed è questa la sensazione che ho provato guardando esseri umani costretti a sopravvivere in questo modo. Non ha senso! E i diritti umani? Per chi sono stati pensati? Per chi sono stati scritti e approvati?
È Natale sì, ma mi chiedo dove sia il limite al male che stiamo facendo a noi stessi. Mi chiedo se la sentiamo ancora quella domanda del libro della Genesi che Dio ci rivolge: “uomo dove sei?”
Dov’è finito l’uomo, dove l’abbiamo nascosto?
Molte volte per liberare la nostra coscienza dalla prigione in cui la costringiamo morire giriamo la domanda a Dio: “ Dio dove sei?”
Dov’eri quando in Rwanda in cento giorni sono state fatte a pezzi un milione di persone? Dov’eri quando in Cambogia Pol Pot e i Khmer Rossi hanno trucidato e torturato più di un milione di Cambogiani?
Dov’eri quando i nazisti hanno sterminato più di sei milioni di esseri umani perché ebrei, zingari, portatori di handicap o omosessuali?
Dov’eri quando l’occidente ha azzannato l’Africa come un cane inferocito, comprando uomini e donne come fossero cose o bestiame? Dov’eri?
Dio non c’entra! Chi si ammazzava e chi continua a farlo?
È Dio che ammazza l’uomo, oppure è l’uomo che ammazza, sfrutta, tortura e sfigura se stesso? …e Dio non interviene?
Certo che interviene, e lo fa a modo suo, ponendoci davanti alla nostra coscienza con queste due domande:
“uomo dove sei? Dov’è tuo fratello?”.
È a questo che dobbiamo rispondere. È questo che ci rende responsabili l’uno dell’altro. È questo che fa rinascere il bello che ci abita e a cui siamo stati pensati. È questo che ci rende pienamente umani e restituisce senso a tutto.
È Natale sì, ma se ci impegnassimo davvero, potrebbe esserlo di più.

Vi Auguro di trasformare il 25 dicembre in “Buon Natale” per tutti, nessuno escluso e un 2011 felice all’insegna dell’impegno!

Vi porto al cuore
Diego (Gigo)

martedì 7 dicembre 2010

NON HO AVUTO IL CORAGGIO DI INCONTRARE QUELLA MAMAN


“Salvare le maman…” facile a dirsi…


In margine a una puntata di “I fatti vostri”.

Sono stata invitata a partecipare ad una puntata de “I fatti vostri”, in onda il 3 dicembre su una questione molto delicata: la storia di una maman che chiede perdono.

L’idea di “salvare” le maman che molto spesso sono soltanto delle ex vittime della tratta, ce l’ho in testa da tempo e insieme alle mie collaboratrici, l’ho messa anche tra le proposte conclusive dell’indagine sulla realtà sommersa delle vittime della tratta.

E mi è già capitato di incontrarne, constatando che si tratta di trafficanti da quattro soldi, ragazze che hanno cercato di fare le furbe e si sono inguaiate.

Quando ho ricevuto l’invito a partecipare al programma tv sono stata contenta, pensando che in quella occasione avrei potuto contribuire a dire qualcosa di nuovo sul problema.

Ma avrei dovuto farlo in TV e io non sono sempre abbastanza brava, né in pubblico, né in tv a dire tutto quel che dovrei.

Pensando a quell’appuntamento mi sono tornate in mente tante cose, prima fra tutte il mio calvario in ospedale, dove sono finita dopo aver detto BASTA alla mia maman e dopo che lei ha incaricato degli energumeni di punirmi.

Quelli quasi mi ammazzano, quasi perdo un occhio,…quattro giorni di coma, mesi di convalescenza, e l’occhio mi da ancora problemi.

Salvare le maman, allora, non può voler dire raccogliere il pentimento di ogni ex maman che, dopo un periodo più o meno lungo di carcere e a fronte di un altro lungo periodo, pensa a ciò che ha fatto e piange.

Non ho trovato il coraggio di andare in TV e sono scappata di fronte a questa opportunità perché certe cose sono facili a dirsi, molto meno a farsi.

Ho poi guardato il programma, andato in onda senza la mia partecipazione ed ho visto le lacrime di questa ragazza nigeriana, condannata a sei anni, mica a sei mesi.

Piange perché le è stato tolto il figlio e non è giusto che lui paghi per gli errori della mamma.

Parole giuste. Tutti i detenuti piangono per i loro errori e quasi tutti non vorrebbero che i loro errori ricadessero sui figli.

Ma il pianto non può essere liberatorio se è riferito solo a se stessi…è umano che una mamma pianga la lontananza dei figli ed è umano che chi ascolta il suo pianto di mamma si commuova.

Ma se non ci sono lacrime vere per le ragazze che sono state sfruttate, non siamo di fronte ad un pentimento, ma solo ad un dolore umano ma inevitabile, perché una pena è giusta anche se il detenuto piange, e fino a quando on ha capito davvero le proprie colpe e non è pronto ad una vita nuova e diversa, la sua sofferenza merita rispetto, ma i suoi errori meritano di essere punito perché c’è qualcun altro che ha sofferto a causa di quelli.

Quante ragazze sono state sottomesse a quella maman e magari hanno sofferto e soffrono ancora; quante i figli non li avranno perché le violenze subito hanno tolto loro la fecondità; quante hanno avuto figli che le maman hanno tolto loro per usarli come strumento di ricatto, e quante maman sono rimaste impunite e libere potendosi nascondere dietro alla apparenza di essere buone madri.

Non sono andata in tv per la paura di essere troppo cattiva nei confronti di quella maman, ma anche per la paura di essere, invece, troppo scossa e commossa dalla sua situazione, poiché dietro ad una maman c’è sempre una ex vittima della tratta.

Per questo, però, mentre dimostro che 500 ragazze sono state uccise, mi riesce difficile andare in TV ad ascoltare come se niente fosse la sofferenza di una maman con il rischio di sembrare io la cattiva che non perdona e lei la disperata.

O di dimostrare, alla fin fine, di esser disperata cme lei e che, quindi, vittime e carnefici sono la stessa cosa.

In questa Italia siamo tutti o troppo razzisti o troppo tolleranti e, allora,può succedere quel che successo in tv, al programma e, cioè, che il pubblico mostra comprensione per la sofferenza di questa donna e se potesse votare per la sua liberazione lo farebbe subito, sull’onda di una emozione suscitata in TV.

Io emozioni in Tv ne ho trasmesse e ne ho vissute tante, ma non ho visto nessun cambiamento nell’opinione pubblica e nelle forze politiche, nelle associazioni, ecc. ecc., per cui ad un certo punto mi dico ma che ci vado a fare, solo a trasmettere la mia dose di emozioni e di dolore.

Non ho avuto il coraggio, questo mi dispiace.

Molte donne e molti amici mi dicono che sono coraggiosa, ma non è così.

Ho avuto coraggio quando ho affrontato l’ignoto e sono finita nella tratta. Ne ho avuto quando ho detto basta.

Non posso farmi forza ogni singolo giorno per affrontare sempre nuove situazioni, sempre nuovi drammi. Ho voglia di una vita normale.

Come dice Saviano, la mia opera più grande sarà ricostruirmi una vita normale.


Isokè