domenica 15 maggio 2011

20 maggio 2011 il sogno di Diego si avvera



Tutti gli amici sono invitati, senza eccezzione alcuna, sabato 20 maggio, ore 9, chiesa della parrocchia di Bauleni, Lusaka, Zambia. Diego diventerà "Fratel Diego", missionario comboniano.
Il suo sogno diventa realtà dopo più di un anno e mezzo di noviziato.
Chi non potrà essere presente fisicamente ci sia con il proprio cuore e il proprio affetto.

salone del libro 2011



TORINO – LINGOTTO – SALONE DEL LIBRO

Domenica 15 maggio 2011
Spazio Regioni ore 19 - 21

STORIE VERE

evento promosso dall’Associazione
Le Ragazze di Benin City

Isoke Aikpitanyi
autrice del libro “500 storie vere” (ed. Ediesse)
con testi di Susanna Camusso e Roberto Saviano,
consegna
il Premio Progetto la ragazza di Benin City
a Suor Eugenia Bonetti e ad altri…

***
Gianguido Palumbo
presenta
“NOITALIANI”(Infinito Edizioni)
con prefazioni di Nando Dalla Chiesa e Pap Khouma
Infinito Edizioni
Partecipa all’incontro
Nando Dalla Chiesa

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Beppe Pavan
del gruppo di Pinerolo Uomini in Cammino.
presenta il video
“Da Uomo a Uomo”
la violenza contro le donne ci riguarda
a cura dell’Associazione Nazionale Maschile Plurale

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L’evento è dedicato alla Campagna
per l’attribuzione del premio Nobel per la Pace alla Donna Africana (NOPPAW).

Info e Contatti 346 7044126 –
isoke.aikpitanyi@gmail.com

venerdì 1 aprile 2011

Merde schifose (*di Giovanni Giovannetti)


Breve storia di Slavoljub Kostic e della sua famiglia, sgomberati all'alba dal campo Sinti di via Bramante (Pavia) «Saranno state le sei, sei e mezza. Questa mattina i vigili di Pavia sono entrati nella mia roulotte nel campo di via Bramante, ci hanno detto fuori tutti, moglie e cinque figli, i bambini ancora in pigiama, hanno preso le nostre cose e le hanno messe lì fuori e l'assistente sociale che urlava prendi i tuoi figli e vai sulla strada. Ora sono qui, senza luce e senza niente a parte la mia rabbia. Fino a qualche anno fa stavo bene e guarda ora. Sedici anni e mezzo di contributi di lavoro come benzinaio sull'autostrada a San Zenone, poi meccanico in officina mezzi pesanti a Sannazzaro, poi a Rimini, fonderia alluminio, muratore quarto livello a Pavia e autotrasportatore. Sono di Belgrado, Serbia, e il mio nome è Slavoljub Kostic. Sono scappato nel 1992 per non andare in guerra. Mi ero appena soposato con Nerezda e quando è nato Jovan ho scelto l'Italia. Il primo permesso di soggiorno è per motivi umanitari, profugo, nel 1993; l'ultimo scadrà a luglio. facevo il benzinaio, Nerezda lavorava anche lei, avevamo progetti, il mutuo per l'acquisto di una casa. Poi ho subìto un infortunio alla gamba e mi hanno licenziato e quindi ho dovuto rinunciare al mutuo e alla casa. Da allora case in affitto, fino a quando, abitando a San Martino, ho voluto un lavoro più vicino, ma la nuova ditta è fallita e così ho dovuto nuovamente guardarmi intorno. Un giorno in un posto dove mangiano i camionisti un tipo mi fa “ma tu non cerchi lavoro? Ci sarebbe da portare questo camion a...” io cercavo e dico sì. Mi hanno fermato i Carabinieri e risulta che il camion l'avevano rubato. Ora è tutto chiarito, ma sono rimasto in prigione dall'11 ottobre fino a febbraio, e poi agli arresti domiciliari qui dentro in roulotte. Io ero in prigione, Nerezda e i cinque figli non avevano di che campare, hanno perso anche la casa e così dormivano dentro l'auto davanti al carcere di Torre del Gallo, in sei dentro un'auto per tutto l'inverno. A mezzogiorno mangiavano dai frati di Canepanova e la sera alla mensa del povero a San Mauro. Fino a quando il vicesindaco di San Martino ci ha dato mille euro per la roulotte. Luigi Bossi è della Lega ma con noi si è comportato bene, niente da dire, ci aveva assicurato che per un po' di tempo potevamo stare nel campo di via Bramante, anche se lì è comune di Pavia; a San Martino abbiamo la residenza e i due figli piccoli Tatiana e Zivorat frequentano le medie qui in paese. Jovan e Kristian invece vanno all'Ipsia. Cristina andava al Cossa, ma quando mi hanno arrestato ha dovuto rinunciare per aiutare la mamma. Poco fa sono passati per di qua i compagni dei due figli che vanno a scuola in paese, ci hanno visti per strada, hanno salutato e i piccoli si sono vergognati e sono corsi in roulotte a piangere. I vigili hanno sequestrato l'auto perché era senza assicurazione. A Nerezda un po' dispiace, per lei l'auto era come una seconda casa, ci ha abitato, e la usava per andare per ferro». Questa sera ho incontrato Slavoljub, la moglie Nerezda e i figli Jovan, Cristina, Kristian, Tatiana e Zivorat. Le Brigate di Solidarietà attiva animate da Giuseppe Invernizzi hanno messo a loro disposizione un generatore per la corrente elettrica, in modo che nottetempo non debbano stare al buio. Il sindaco eletto anche grazie al voto dei mafiosi, quel “Pupo” che mantiene in Giunta gli amici degli amici, ora viene a dirci che il nostro problema sono i Sinti pavesi o un Rom serbo da vent'anni a Pavia come Slavoljub. Deboli con i forti e forti con i deboli. Sindaco e assessori: fate schifo.

(*G. G.)


Che dire Giovanni!? Non possiamo che condividere !

martedì 22 marzo 2011

Tra musica, dreadlocks e sogni


Tra musica, dreadlocks e sogni

Il compound di Bauleni e’ pieno di problemi, e’ vero, ma e’ anche un “laboratorio” di vita, dove si esperimentano ed esprimono una moltitudine di relazioni, di energie, emozioni, un intreccio di storie e personaggi, talenti, musica, arte, sogni e creativita’ che rendono quel groviglio di umanita’ un posto unico, dove si respira tutta la freschezza della vita. Ci si sente vivi nonostante tutto!
C’e’ Mr. Dakka per esempio, un uomo sottile e distinto sulla sessantina, con capelli corti e brizzolati e degli occhiali ovali dorati che gli danno un’aria da docente universitario. E’ un orologiaio, almeno cosi’ lui dice. Ha un tavolino quadrato sotto il portico di un negozietto all’interno del mercato, sul quale dormono ammucchiati ricordi di orologi. Ne ho portati alcuni a cui ha cambiato la batteria e funzionano. Mi rendo conto che l’operazione non e’ delle piu’ difficili, ma gli viene bene. Il mio, che non ha problemi di batteria, l’ho portato almeno quattordici volte, tanto che putrebbe andareci anche da solo. Funziona per un giorno o due e poi si stanca e si inchioda. Ogno volta Mr. Dakka mi rassicura: “ ...no no brother Diego, questa volta l’ho messo apposto, vai tranquillo”. Io vado tranquillo, ma poi dopo due giorni, tranquillo torno indietro. E’ ormai diventata una sorta di tradizione per me, un po’come andare a prendere l’aperitivo da noi in Italia alla domenica mattina:
“cosa fai domenica? Ah no, il solito, vado a portare l’orologio a Mr. Dakka”, e’ un modo per socializzare, per stare insieme.
Poi c’e’ Naomi, una bella ragazza di ventitre anni con un talento naturale per il busyness. Ha un baracchino giallo alla stazione degli autobus dove vende ricariche per telefonini. Ce ne saranno una ventina di quelle scatole di compensato colorate e tutte vendono la stessa cosa, eppure da lei c’e’ la fila. Questo non per la sua bellezza, perche’ ci sono molte donne che si servono da lei. E’ il modo accogliente e socievole con cui si rivolge alle persone. Sembra dirti tra le righe: “prima di tutto sei una persona, poi se compri sei anche un cliente”, completamente il contrario della logica consuminta che ti vede solo come una risorsa da sfruttare e se avanza tempo, forse sei anche una persona. Si possono spendere delle ore da lei, senza comprare nulla. Da lei si socializza, tra gli schiamazzi del mercaro, il fumo dei minibus e i clacson che suonano incessantemente.
Poi c’e’ Mr.T, cosi’ si fa chiamare. E’ un uomo sulla cinquantina, alto, vestito sempre di nero con un giobbotto pesante di finta pelle nera rovinatissima che indossa anche quando ci sono cinquanta gradi. Il suo tasso alcolico e’ costantemente medio-alto, con picchi impressionanti veso le quattro del pomeriggio. Quando si presenta dice: “ piacere, io sono Mr.T, ovvero Mr. Toilet perche’ sono ufficialmente in carico, nonche’ responsabile della pulizia dei bagni del bar vicino alla stazione”, che poi pulizia e’ una parola grossa visto che tutti i clienti si lamentano per le condizioni preoccupanti in cui versano i bagni.... da colera tanto per intenderci. Penso lo paghino a birre e sigarette e non so se abbia un vero e proprio stipendio, ma e’ parte dell’ambiente del bar, se non c’e’ manca e la gente chiede: “ ei dov’e’ Mr.T oggi?”
Sempre nel mercato c’e’ Chisomo (che si pronuncia Cisomo), una ragazza di diciannove anni che ha appena terminato la Secondary School e non vede l’ora di poter proseguire gli studi ed andare all’universita’. Lavora nel negozietto del padre dove vende materiale elettrico, poco lontano dal tavolino quadrato di Mr. Dakka, il fenomeno degli orologi. Mi piace fermermi da lei ed ascoltare le sue idee, farmi interrogare dalle sue domande e parlare del suo piu’ grande sogno: quello di diventare medico. Tra un cliente e uno scroscio di pioggia, e’ impegnata a sfogliare un vecchio volume di enciclopedia medica senza copertina, dalle pagine ingiallite, impregnate di “Bauleni” e spaccato in due come una mela, che lei tiene come un tesoro da maneggiare con delicatezza e rispetto, quasi tenesse in mano il suo sogno. Lei ci crede veramente e mi dice sempre: “vedrai Diego, un giorno verrai da me a farti curare, saro’ il tuo medico! ...vedrai!”. E’ molto gentile da parte sua anche se suona come una gufata. Ma si, in fondo prima o poi qualcosa mi verra’. Alla fine Chisomo ha ragione e mi riporta alla mia umanita’ e alla realta’ di ogni esistenza di cui la malattia e’ parte.
Moses davanti al suo laboratorio C’e’ anche Moses, un Rastaman di trentanni con dei dreadlocks che raccoglie in due grosse ciocche, una sulla destra e una sulla sinistra della testa e che il piu’ delle volte copre con una grande cuffia di lana del Barcellona, di cui e’ tifosissimo. E’ un falegname e lavora tutto il giorno nella bottega vicino alla guest house proprio nel centro piu’ rumoroso del compound di Bauleni, dove i bar si concentrano cambiando l’odore dell’aria, da quello pesante del diesel della stazione a quello acre del mais fermentato che bevono come birra locale. Le sue specialita’ sono poltrone e divani che costruisce con una certa liberta’ espressiva. Una cosa non puo’ mancare nelle sue opere: devono essere rigorosamente ricoperte di un vellutone soffocante che fa sudare al solo pensiero di sedercisi sopra, anche se sedersi non e’ la parola giusta, perche’ in quelle poltrone ci si sprofonda dentro. Non e’ una sua fissa, in tutte le case si possono trovare poltrone foderate di questo materiale sintetico non proprio estivo ne tantomeno adatto per luoghi polverosi come il compuond nella stagione secca, ma qui e’ un must. Moses non ha studiato molto, ma ha una mente da filosofo. E’ bello ascoltarlo, con quella sua spiritualita’ rastafarian, mentere si arrabatta a tagliate pezzi di legno in una nuvola di segatura che si appoggia sui dreadlocks come neve che si spruzza a presepe finito. Sogna di poter mettersi in proprio anche se ci vogliono molti soldi. Lavora duro, come tutti i rastafarian del compound, dalla mattina a sera tarda. Ha tre bambini, l’ultimo ha sette mesi, e una moglie giovane che non ha nulla a che vedere con i rasta. Moses mi dice sempre: “sai bro, io nella vita voglio combinare qualcosa di bello, voglio realizzarmi, non grandi cose, ma avere un negozietto mio, mandare i miei figli a scuola e vivere in una casa decente. Non sono fatto per starmene in un bar tutto il giorno a bere e buttare via la vita... e’ troppo? No bro, Jah (JAH e’ il nome che i Rasta danno a Dio) mi aiutera’ e ce la faro’! Sono tanti ancora i personaggi e le storie di Bauleni che potrei raccontare, tanto che non basterebbero tre vite per abbozzarle tutte. Racconti di vita vera tra degrado, problemi e ingiustizie ma ancora una volta mi rifaccio alle parole di De Andre’: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fiori”.
...e io mi siedo incantato a meditare il miracolo della vita che fiorisce in Bauleni, tra musica, dreadlocks e sogni.

Vi porto al cuore

Diego (Gigo)

mercoledì 23 febbraio 2011

Isoke Aikpitanyi: 500 storie vere

Esce il nuovo libro di Isoke: "500 storie vere". Diamoci da fare per farne un nuovo strumento di lotta contro la tratta! Per info: isoke.aikpitanyi@gmail.com


giovedì 6 gennaio 2011

Buon anno ... da Gigo


Aquiloni…roba da profeti!

Mwila ha gli occhi grandi, belli, scuri e brillanti, dove il bianco si taglia di netto con il nero profondo dell’iride. È piccola piccola ed ha un’aria malinconica. È diversa da tutti gli altri bambini che vivono nella casa delle suore di Madre Teresa a Lusaka. Sì, è vero, tutti i bambini sono diversi, ma Mwila ha una caratteristica poco comune; non sorride mai. Mwila è la bambina che non sa sorridere. La piccola ha perso entrambi i genitori, è positiva, ha la tubercolosi ed è denutrita e anemica perché la nonna, che avrebbe dovuto prendersi cura di lei, è alcolizzata e si beveva tutti i soldi. Insomma, ha i suoi buoni motivi per non sorridere! L’ho tenuta in braccio per più di un’ora quel sabato e non mi ha regalato nemmeno un accenno di sorriso. Tutti i trucchetti che hanno avuto successo con altri bambini, hanno finito per togliere anche il mio sorriso. La guardavo, mentre la tenevo in braccio. I suoi occhi mi fissavano dritti nel punto in cui fa male. Il caldo aumentava per l’arrivo della pioggia e per il disagio che si prova davanti ad una domanda precisa a cui non si sa rispondere. Sentivo la sua schiena sudata appiccicarsi ai miei pantaloni bagnaticci. La sua bocca sembrava sigillata, non una parola, non un sorriso, non un cenno di approvazione, ma due occhi scuri che trafiggono lapidari e pronunciano sentenze che solo l’anima capisce. Ciò che si comunica senza la parola, non può essere descritto a parole, è semplice, elementare, ma ci si prova comunque, senza grandi risultati. Tenevo in braccio il mio imbarazzo e la fronte sentiva il fresco del vento che soffiava sulle gocce di sudore che scendevano verso gli occhi. Nel mondo di Mwila non si entra attraverso canali convenzionali, si entra con modalità, spazi e tempi che deve ancora farmi scoprire. È lei che guida la danza, è lei la padrona del suo giardino tutt’altro che sfiorito. È il suo eden e per entrarci bisogna meritarlo. Il suo mondo non è chiuso, chiuse sono le mie vie, i miei sentieri per arrivare a lei. A volte è spiazzante, una bambina di 3 anni circa ha libero accesso nel “mio luogo”, dove pochi possono permettersi di entrare, e ci entra con naturalezza, come fosse la cosa più semplice, proprio come fanno i bambini che entrano ed escono dalle case di cortile nei giorni d’estate facendo gonfiare la tenda come la vela di una nave che solo la loro fantasia può vedere. È il loro mare e ci nuotano con confidenza, anche in punti in cui altri rischierebbero d’annegare.
“Se non diventerete come bambini……..”
È questa semplicità, essenziale che accompagna nei luoghi più nascosti della vita vera. È l’atteggiamento di Mwila, che seduta sulle gambe del Ragazzo di Nazareth fa esclamare quella frase che sembra un’offesa alla ragione di chi è diventato grande a fatica, guadagnandosi quel rispetto ingessato, quell’adulta rigidità indossata come un vanto.
No, quella non è saggezza. La saggezza vera è mantenere viva quella spontaneità e creatività di chi sa costruire aquiloni dai rifiuti, con la fiducia di vederli volare. E’ la fiducia del profeta.
Saggezza è far volare aquiloni. Solo i bambini, i saggi e i profeti sanno far volare cose. Le portano in alto perché tutti le possano vedere per poi riportarle a terra perché possano essere toccate e vissute, perché ci si possa accorgere che sono cose vere, proprio come aquiloni.
Ne ho appeso nella mia stanza, l’ho trovato mentre camminavo in una periferia di Lusaka. Quel giorno il vento ha voluto portarmi il regalo di un bambino che non conosco e che probabilmente non conoscerò mai. Conosco però la sua fantasia, la sua semplicità e la sua speranza. La speranza di poter far volare in cielo cose che altri danno per finite.
Presto Mwila sorriderà. Presto avrà l’età per costruire il suo aquilone e anche lei, come tanti bambini, correrà con un sogno in cielo appeso a un filo, un sogno reale che lei stessa potrà guidare con l’aiuto del vento. Un sogno che potrà portare a terra tutte le volte che vuole, oppure lanciarlo in cielo perché possa mantenere la tensione naturale del sogno. Presto Mwila, guardando i rifiuti di una discarica, vedrà pezzi di cielo azzurro con cui giocare.
Sì, perché solo i bambini i saggi e i profeti giocano con il cielo.


Buon Anno a tutti

Diego (Gigo)