lunedì 22 marzo 2010

Buona Pasqua da Gigo


lettera dallo Zambia di Diego Cassinelli (Gigo)

(novizio Comboniano e amico caro di CattiviRagazzi)


Avrei tante cose da condividere, tante storie da raccontare, tanti volti da dipingere, ma preferisco sostare per un attimo e dare spazio ad una riflessione che riguarda il tempo che stiamo vivendo, un tempo “altro”: la quaresima. Cosa vuol dire vivere la quaresima qui nella township di Bauleni?

È proprio vero che le cose prendono un significato diverso a seconda della latitudine in cui ci si trova a vivere.

È la quarta settimana di quaresima e dopo aver iniziato con un passo europeo mi sto accorgendo che la musica qui è un’altra e sto ballando da solo, perché il ritmo è diverso. Forse, come per il senso dell’avvento, anche qui sono chiamato ad andare all’essenziale. Che cosa succede veramente in questi quaranta giorni di deserto? Come mi devo comportare, come sono chiamato a viverli? Ciò che ha un senso in Italia, qui forse ne ha un po’ meno e altre dinamiche e contenuti prendono valore e priorità. Certo non ci si può fermare ai fioretti, che il più delle volte vanno a toccare solo il nostro superfluo. Per moltissime persone qui il superfluo non c’è mai e ogni tanto, diciamo raramente, hanno il necessario. Come si fa a parlare di digiuno con gente che digiuna tutto l’anno? Moltissimi uomini e donne sieropositivi, si autodistruggono con gli anti retro virali, (terapia per chi ha l’Aids) proprio perché non hanno una corretta alimentazione. Siamo alla periferia della capitale, e i supermercati sono pieni di tutto, il cibo non manca, ma i prezzi sono altissimi e la gente delle township tira a campare come può. Se non ho la possibilità di saltare il superfluo perché non ho nemmeno il necessario, cosa differenzia questo tempo da un altro? Ma che cosa è la quaresima? Cominciamo con un numero; quaranta. Si dice che Gesù sia stato 40 giorni nel deserto, non prendendo né acqua né cibo. Il numero è esagerato, nessun uomo può sopravvivere tutto quel tempo senza mangiare e bere. Va bene che era Dio ma, se ha scelto di essere uomo credo che si sia preso questo impegno fino alla fine, compreso le fatiche di un corpo da uomo. Quaranta è un numero simbolico, e non un lasso di tempo reale e ricorda i quaranta anni del popolo d’Israele nel deserto, che dalla condizione di schiavitù, andava incontro alla terra promessa, alla libertà. Un popolo intero si era messo in cammino, uomini, donne bambini, anziani tra mille difficoltà, tra momenti di sconforto, di tradimenti, di fame e di pianti. Il fatto è che, a quel tempo, la prospettiva di vita non era lunghissima; solo di 35, 36 anni. Questo vuol dire che nessuno di quelli che sono partiti ha visto ed è entrato nella terra promessa. Sono morti tutti prima di raggiungere il loro sogno. Trentasei anni, di vita da vivere, quaranta anni di cammino nel deserto! Il calcolo non lascia dubbi. Il popolo che ha trovato liberazione non è il popolo che è partito dall’Egitto. Non è più lo stesso popolo, è un popolo nuovo, sono i figli e nipoti nati durante il viaggio verso la libertà. Dopo tutti questi anni si ha una creatura nuova, l’uomo nuovo chiamato a costruire e ad abitare una terra nuova. Alla luce di questa interpretazione si può dire che questi quaranta giorni di quaresima sono il tempo simbolico per prenderci in mano ancora una volta, per tentare di riavvicinarsi a noi stessi, al sogno di Dio, e tentare di costruire percorsi che siano veramente capaci di “rigenerarci”, ovvero, di nascere ancora, perché alla fine di questo cammino, possiamo sentirci creatura nuova, donne e uomini nuovi. Ciò che inizia il cammino è chiamato a lasciar spazio a una nuova vita, ad un nuovo essere. Guardando la gente di Bauleni, il loro stile di vita, la loro difficile quotidianità, penso che questo momento si può vivere anche in modo diverso, quello che conta è tentare di attraversare il deserto e il silenzio con la speranza di uscirne nuovi. La vera rinuncia è quella di sottrarre tempo al solito “tran tran” per fare respirare la mente. Pensare, pregare e meditare, allontanarsi dal mondo vuoto, o almeno tentare di farlo. Davvero; diamoci del tempo, regaliamoci aria e spazio per far vivere semplicemente ciò che siamo. Fare digiuno da tutte le idée, gli stereotipi, i luoghi comuni e i pensieri che ci mettono nel piatto come cibo tiepido e precotto. Essere critici davanti a fatti e avvenimenti, e rinunciare a seguire la tendenza dominante, quella comune, quella più facile. Questa è la rinuncia, questo è il digiuno, questo è lo sforzo. Solamente usando criticamente la nostra mente potremmo diventare creatura nuova e dopo i quaranta giorni attende la resurrezione dell’uomo nuovo. Anche il Falegname di Nazareth è uscito dai suoi “quaranta giorni” di deserto pronto a dare la vita per un mondo nuovo di giustizia e pace … è uscito nuovo, è uscito Dio. Prendiamoci del tempo per pensare, basta aprire il Vangelo, leggere, meditare e gustare la sana rivoluzione, quella di una notizia nuova,

Ma attenzione, anche qui, al pericolo di cibi precotti, il rischio di accontentarsi del già sentito è sempre dietro l’angolo.

Per questa Pasqua auguriamoci di avere il coraggio di credere alle cose nuove … di essere creatura, attenta, pensante, critica, viva … creatura nuova.

Buona Pasqua

venerdì 12 marzo 2010

Donne che non si arrendono


PENSARE L’IMPOSSIBILE
Donne che non si arrendono
Quando si parla di donne, in Italia prevale la rassegnazione. Battute grevi, il corpo femminile che diventa oggetto di marketing, la sottomissione come consuetudine, sterili e umilianti dibattiti sulle quote rosa. Il “velinismo” è ormai un criterio selettivo, e solo lo scatto d’orgoglio di una moglie, Veronica Lario, ha creato un temporaneo moto di indignazione contro il “ciarpame senza pudore”. I principali istituti nazionali di ricerca pubblicano i dati sulla condizione delle donne: ogni volta è un po’ peggio. Meno di una italiana su due lavora, record negativo europeo, le violenze di genere aumentano, altro primato inquietante. Va così, lo stato delle cose è questo. Davvero non è possibile fare nulla davanti a questa situazione? E non c’è modo di schiodarsi da quell’umiliante 72° posto, su 135 paesi, questa la classifica che ci viene assegnata dal nuovo rapporto sul divario di genere del World Economic Forum?
Anaïs Ginori dà voce alle donne, sparse per la penisola, di ogni ordine e grado, che invece non intendono rassegnarsi e continuano a pensare l’impossibile. Attraverso i loro occhi, le loro parole e le loro storie, disegna una mappa della resistenza, si confronta con le cause dell’arretramento, dalle battaglie degli anni settanta al corpo delle donne vilipeso e negato di oggi. E in questo viaggio incontra personaggi, situazioni e vizi spesso dimenticati dalle cronache di tutti i giorni. Ogni capitolo di questa inchiesta-reportage indica un sintomo, che sia di speranza o di degradazione. Senza nascondersi mai dietro ad un dito, neppure nell’elencare le cause dell’anno zero che stiamo vivendo. Dall’ipocrisia del linguaggio sulle “escort” nei palazzi del potere, mentre le “mignotte” vengono cacciate dai marciapiedi, alla lotta dei gruppi religiosi contro un farmaco, la pillola abortiva Ru486, disponibile in tutto il mondo da anni. Dalla serie di film porno italiani dedicata agli stupri fino al sessismo in politica (e a chi cerca invano di combatterlo). Dai racconti delle femministe storiche, che ammettono anche i loro errori e non nascondono la realtà attuale, fino alle giovani studentesse e agli altri bagliori che covano sotto la cenere della ricerca di una nuova identità femminile.

Con interviste a Emma Bonino, Daniela Del Boca, Luisa Muraro, Sofia Ventura, Isoke Aikpitanyi, Lorella Zanardo, Valentina Maran, Emile-Etienne Baulieu (il creatore della RU486), il regista porno Andy Casanova e altre/i.
Prefazione di Concita De Gregorio
ANAIS GINORI (Roma, 1975), giornalista, lavora a la Repubblica. Con Fandango ha pubblicato nel 2001 “Le Parole di Genova” e, con Sperling&Kupfer, “Non Calpestate le farfalle” (2007).