mercoledì 19 maggio 2010

19 giugno a Bologna abbattiamo i CIE


Alcune considerazioni
Il circuito dello sfruttamento
I Cie, ex Cpt, sono luoghi di detenzione amministrativa sottoposta all’autorità di polizia quindi, da un punto di vista
giuridico, propriamente equiparabili ai Lager nazisti. Istituiti dalla sinistra nel 1998 e condotti a compimento dalla
destra, sono parte integrante e costituente di un meccanismo perfettamente oliato che alimenta il circuito dello
sfruttamento. La politica razzista, con le sue leggi e la sua propaganda, incalza l’immigrato schiacciandolo
nell’angolo per renderlo sfinito e umiliato schiavo, un pezzo utile da mettere a profitto nei tempi della produzione o
in quelli del business del “divertimento” sessuale. Nei Cie vengono rinchiusi immigrati senza il permesso di
soggiorno, ma non solo. Ci sono persone che hanno richiesto l’asilo politico, che hanno lavoro e carte in regola ma
con vecchi decreti di espulsione sulle spalle, che hanno finito di scontare una pena in carcere e donne, tante donne, in
molti casi vittime della tratta. Gente che è sfuggita da guerre, persecuzioni, maltrattamenti e prostituzione. E fame.
Guerre e fame che il capitalismo occidentale produce per continuare indisturbato a dominare e a razziare il mondo.
Resi clandestini per la sventura di arrivare da paesi disgraziati, sotto la minaccia costante e continua di essere
internati e deportati, di venire fermati per strada, negli autobus, nei treni e trattati come bestie, di venire separati
dagli affetti più cari, di finire nuovamente nelle grinfie di sfruttatori e “protettori” senza scrupoli, vivono in balia
della malvagità di chi esegue gli ordini del potere.
Il meccanismo dello sfruttamento per funzionare ha bisogno di un braccio armato fatto non solo di sbirri e militari,
ma anche di controllori di autobus e treni che, solerti, scovano immigrati clandestini e li consegnano nelle mani delle
autorità. Necessita di un ambiente predisposto ad accogliere tutte le possibili misure di controllo, militari nelle città
compresi, quindi la propaganda razzista sostenuta dall’ossessione securitaria entra in campo per alimentare le paure
eliminando il rischio che qualcuno solidarizzi o manifesti repulsione per metodi così spietati e disumani. È così che
si forma un esercito di schiavi circondati da una massa grigia di esseri collusi, insensibili e meschini.
Il secondo termine, espulsione, richiede a sua volta che venga predisposto un meccanismo di attuazione. Centri di
detenzione per immigrati sono presenti in tutta Europa e nel 2004 è stata istituita Frontex (Agenzia europea per la
gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne) che, tra le altre, ha la funzione di «fornire agli stati
membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte». Non è facile nemmeno per gli
stati deportare, ci vogliono accordi con i paesi terzi, tanto che spesso vediamo presidente del consiglio e ministri
italiani correre smaniosi in giro per il mondo alla ricerca di accordi con Libia, Ghana ecc. Ma ora Frontex è pronta
per il suo compito, ha a disposizione aerei charter noleggiati con pilota compreso per le deportazioni che rastrellano
gente dai vari centri di detenzione facendo scali in diverse città europee. E si tratta di un intervento prezioso per il
sistema rimpatri anche perché sugli aerei di linea troppo spesso i comandanti hanno dovuto far scendere i deportati, e
la loro scorta, a causa delle proteste loro o di altri passeggeri, scioccati nel vedere gente in manette e maltrattata.
Le condizioni nei Cie e le lotte recenti
Chiunque segua le lotte contro i Cie sa che non passa giorno senza che arrivino notizie di soprusi e maltrattamenti,
che i reclusi lamentano un disinteresse totale rispetto a qualunque genere di necessità, perfino di cure mediche anche
in presenza di malattie o ferite gravi. Si sa che il cibo è pessimo, scarso, condito con psicofarmaci e a volte pure
pieno di vermi o scarafaggi. Che gli internati non hanno alcun diritto e che per loro è praticamente impossibile uscire
anche se hanno casa, lavoro, coniuge italiano e figli. Che le forme di protesta vengono spesso schiacciate dalla
repressione e dai manganelli e che le pene per chi reagisce sono sempre alte. A volte arrivando persino alla morte,
come nel caso di uno dei rivoltosi del Cie di Milano. Che gli operatori dei Cie e le guardie si rivolgono agli
immigrati con violenza e disprezzo. Che i ricatti sessuali contro donne e trans sono quotidiani. Che gli stupri da parte
delle guardie, e di chissà chi altro, sono un rischio costante e troppe volte una realtà. Che quando le violenze
vengono denunciate, come nel caso di Joy e di Preziosa, le ritorsioni sono terribili e interminabili. Che i reclusi
vengono spesso rispediti in paesi di cui non sanno più nulla e che in certi casi non sono neppure quelli di
provenienza. Si potrebbe continuare all’infinito con esempi di soprusi e palesi ingiustizie, di esasperazioni che
portano a pesantissime forme di autolesionismo fino ad arrivare in alcuni casi al suicidio.
Ma è anche vero che le tensioni e le ribellioni dentro tutti i centri di detenzione in Italia e in Europa intera non si
placano. La gioia per le fiamme di Vincennes o di Lampedusa non si spegne e l’esempio recente di 84 donne in
sciopero della fame a Yarl’s Wood in Inghilterra dà forza e speranza. Senza dimenticare l’indomabile sciopero della
fame che ormai da marzo prosegue a staffetta, con il forte sostegno dei compagni fuori, al Cie di Milano.
In Italia, dall’approvazione del nuovo Pacchetto Sicurezza nel luglio 2009 con il quale è stato introdotto il reato di
clandestinità e il prolungamento fino a sei mesi del periodo di detenzione nei Cie, le ondate di protesta, le lotte
all’interno dei lager della democrazia e fuori non si sono mai fermate. In alcune occasioni la determinazione e la
rabbia dei reclusi hanno portato a coraggiose rivolte e fughe, pensiamo alle rivolte dell’estate scorsa al Cie di via
Corelli a Milano, a quella di Modena dove i reclusi hanno reso inagibili diversi padiglioni, alle continue fughe dal
Cie di Torino, alla rivolta e al fuoco di Ponte Galeria a Roma, a Gradisca, ai tentativi di ribellione di Bari,
all’incendio recente al Cie di Bologna.
All’esterno la lotta di tanti si è espressa e continua a esprimersi in Italia, a Parigi, in Belgio, ovunque e in molteplici
forme, dai presidi, al sostegno agli scioperi della fame, alle iniziative in città per portare fuori la voce dei reclusi, a
tante e ripetute azioni solidali contro i responsabili e gli speculatori che si ingrassano con l’affare Cie.
I Cie esistono ancora, certamente la lotta non ha ancora raggiunto un sufficiente livello di efficacia ma c’è, dentro e
fuori.
I Cie di Modena e Bologna
I Cie di Modena e Bologna sono strutture dalle quali, come ci hanno fatto sapere i reclusi, «tutti sanno che non si
esce»; sono carceri speciali per immigrati le cui condizioni interne sono particolarmente dure e disumanizzanti, i
regolamenti applicati totalmente arbitrari e funzionali alla castrazione di ogni forma di protesta, di rivendicazione di
libertà e di comunicazione con l’esterno fin dal principio. Non si possono tenere i cellulari che vengono sequestrati
all’entrata, tranquillanti vengono somministrati nel cibo a colazione, pranzo e cena, e abusi e violenze da parte di
ispettori di polizia, ricatti e insulti sono all’ordine del giorno. Come se non bastasse in questi centri una buona
percentuale di detenuti è persino in possesso del permesso di soggiorno. Chi viene internato nonostante sia
“regolare” non è un malcapitato a caso e raro, bensì chiunque abbia avuto un decreto di espulsione anche se riferito a
un periodo per il quale il reato è già stato indultato. Ma non importa «loro cliccano sui computer e se risulta qualcosa
che non torna ti portano dentro anche se hai un lavoro o se pensavi di dover solo completare delle pratiche di
regolarizzazione». Dai Cie di Modena e di Bologna non si esce, non solo per militari, sbarre e filo spinato, ma anche
perché l’ampliamento del raggio di persone internabili e il prolungamento dei tempi di detenzione fruttano
moltissimi soldi ai gestori di queste strutture, ovvero alla Confraternita delle Misericordie presieduta da Daniele
Giovanardi. Questa associazione cattolica guadagna 75 euro al giorno per ogni recluso del Cie di Modena e 72 per
quello di Bologna. Sarà per questo che alcuni reclusi ci dicono che non vengono nemmeno rimpatriati, anche quando
lo vorrebbero?
Il 17 aprile, dopo mesi di silenzio imposto e di ribellioni stroncate, 50 reclusi tra uomini e donne del Cie di Bologna
sono entrati in sciopero della fame e, successivamente, si sono rivoltati dando fuoco a parte della struttura, causando
50.000 euro di danni. Un bel regalo per chi ha scelto di fare dell’internamento degli immigrati un lucroso business!
Nei giorni successivi, i giornali locali interessati solo quando la notizia è eclatante e fa vendere ma mai nella
quotidianità delle sopraffazioni patite da chi sta dentro questi infami luoghi, hanno diffuso la notizia di diversi
episodi avvenuti tra Bologna e Modena in relazione a quello che definivano «il presunto sciopero della fame»: una
quindicina di solidali sono entrati con volantini e megafono nel tribunale del giudice di pace a Bologna, il giorno
dopo un gruppo di persone avrebbe spaccato i vetri della mensa universitaria di Bologna rifornita dalla Concerta Spa
che porta i pasti anche al Cie e che circa un mese prima avrebbe subito danni a furgoni parcheggiati in una sua sede
ritrovati con le gomme tagliate, infine il 2 maggio un gruppo di solidali ha scelto di interrompere la messa della
domenica nel duomo di Modena per smascherare, con volantini e megafono, le responsabilità dei gestori del Cie
della città e per rompere il silenzio. Un silenzio che per quanto riguarda il Cie modello di Modena, che per le
peculiarità indicate sopra presumiamo sperimentale, è sempre stato totale. Giovanardi ha poi dato dei farneticanti a
chi porta in diverse forme la solidarietà agli immigrati reclusi nel suo Cie, dove secondo lui sono trattati con tutti i
riguardi e le misericordiose cure necessarie.
Per continuare opportunamente a farneticare indiciamo
Un Corteo contro i Cie e contro la Misericordia che gestisce quelli di Modena e Bologna.
Un corteo che miri a far conoscere alla città le nefandezze che quotidianamente avvengono dentro questi lager.
Un corteo contro la vergogna delle deportazioni
Un corteo comunicativo che punti il dito contro i responsabili di queste strutture.
Un corteo che non deleghi la propria difesa.
Un corteo contro i Cie per noi è un corteo contro l’organizzazione sociale che li ha concepiti e realizzati, non
vogliamo bandiere di partiti o di sindacati.
Consapevoli che l’opposizione ai Cie non si esaurisce in scadenze e appuntamenti ma si alimenta giorno per giorno
delle proteste e delle rivolte interne e dei contributi solidali di chi lotta al loro esterno, crediamo importante in questo
momento lanciare un’iniziativa partecipata per ribadire la natura di questi centri e che i responsabili non sono entità
astratte ma collaboratori e approfittatori concretamente esistenti e contro i quali è possibile indirizzare le nostre lotte.
Coordinamento per il 19 giugno

lunedì 10 maggio 2010

8 giugno di lotta e di protesta, a fianco di Joy ed Hellen


L'8 GIUGNO A MILANO: A FIANCO DI JOY ED HELLEN, CONTRO CIE E DEPORTAZIONI

Una sera d'estate Joy, una ragazza nigeriana vittima di tratta, porta il
proprio materasso fuori dalla cella del Centro di identificazione ed
espulsione di via Corelli a Milano. Preferisce dormire nel corridoio, dove
fa più fresco.
Durante la notte si sveglia di soprassalto: sul suo corpo le mani di
Vittorio Addesso, ispettore-capo del Cie, che si è sdraiato sopra di lei.
Joy lo respinge con forza e decisione, altre donne la sostengono.

Un "normale" episodio di brutale ­ e sessista ­ amministrazione
all'interno di un Cie, dove gli aguzzini dominano incontrastati, forti delle
connivenze dei gestori di quei lager per immigrate/i.

Alcuni giorni dopo nel Cie di Milano scoppia la rivolta contro il
"pacchetto sicurezza". Joy e le altre donne che l'avevano aiutata vengono brutalmente
picchiate, nude, dall'ispettore Addesso e colleghi, e arrestate: una
chiara rappresaglia da parte di chi mette in atto ricatti sessuali e molestie e
non intende accettare il rifiuto.

Durante le udienze del processo ai rivoltosi, Joy denuncia la tentata
violenza da parte dell'ispettore. Hellen, sua compagna di stanza, conferma
l'accaduto, diventando la sua testimone.
La Croce Rossa, nella figura del responsabile Massimo Chiodini, copre
l'ispettore-capo di polizia.
La giudice, voce della "giustizia" italiana, denuncia entrambe le donne
per calunnia.

Tutte e cinque le donne imputate vengono condannate a sei mesi di carcere
per la rivolta. A febbraio, terminata la pena, vengono riportate in un
Cie,dove a tutt'oggi si trovano rinchiuse ­ tutte tranne una ­ con la
prospettiva di essere deportate in Nigeria, una prospettiva che per Joy ed
Hellen, come per tante/i altre/i, equivale ad una condanna a morte.

L'8 giugno a Milano si terrà l'incidente probatorio, udienza durante la
quale si troveranno faccia a faccia Joy, Hellen e Vittorio Addesso.

Con Joy, dietro a Joy, vi sarà tutto il mondo dei Cie, fatto di controllo,
intimidazioni, abusi e violenze sui corpi rinchiusi. Dietro Vittorio
Addesso starà tutta la gerarchia degli aguzzini, fino ad arrivare in alto, al
ministero dell'interno e ad uno stato che vuole, gestisce e controlla quei
lager. Uno stato che, nella figura di un suo servo, si troverà per
l'ennesima volta come parte accusata in un'aula di tribunale da cui, molto
probabilmente, ne uscirà assolto.

Ma non è da quell'aula di tribunale che ci aspettiamo una rottura con un
consolidato meccanismo di violenze, abusi e ricatti, meccanismo che si
esplicita quotidianamente dentro le mura di ogni Cie.
E' urgente la presa di posizione di ognuna/o di noi contro le complicità
che permettono l'esistenza di un lager di stato e coprono gli abusi che vi
avvengono quotidianamente.

Per questo l'udienza che si terrà a Milano l'8 giugno, preceduta da una
settimana internazionale di lotta contro le deportazioni, chiama tutte e
tutti a fare una scelta di parte, ad opporsi e ad esserci.

Una mobilitazione fattiva che arrivi a concretizzare il vero obiettivo: la
lotta per la distruzione di tutti i Cie, che è anche lotta per la nostra
libertà e la nostra autodeterminazione all'interno di un paese-laboratorio
sociale governato da uno stato di polizia.

fate girare la notizia il piu possibile.....

per maggiori info

http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/

domenica 9 maggio 2010

Solidarietà a chi distrugge muri


Un modo di dire corrente è "erigere un muro" quando ci si rifiuta di dialogaro o capire un problema, ebbene, la nuova amministrazione pavese di centro destra (più destra che centro) ha preso alla lettera il modo di dire: costruisce muri fisici, veri, di solidi mattoni e ottimo cemento. La prima azione "sociale" è stata quella di sgomberare il centro di accoglienza della città, buttare sulla strada cinque famiglie rom che vi erano alloggiate e ... murare. La seconda iniziativa: arrivare di soppiatto all'alba e murare il centro sociale cittadino, covo di sovversivi e pericolosi comunisti anarcoidi che rifiutano di farsi omologare dalla cultura razzista e xenofoba dominante. Ebbene sembra, anzi è certo, che oggi, 9 maggio 2010, sia sorta una specie di associazione di demolitori, demolitori che si propongono di abbattere i muri che questa amministrazione erige.